June Almeida, chi è la scienziata che 56 anni fa scoprì il primo coronavirus

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Non c’è neanche una donna nel comitato tecnico scientifico italiano che sta studiando come reagire all’emergenza coronavirus, questo nonostante siano molte le scienziate italiane e, andando a ben vedere, sono state tre donne, le ricercatrici dello Spallanzani, ad aver isolato per prime il coronavirus aprendo la strada al vaccino. E, Andando più indietro, è un’altra scienziata donna che dobbiamo ringraziare per aver riconosciuto l’esistenza stessa di questo virtus.

Scozzese, classe 1930, nel 1964 June Almeida, guardando attentamente nel suo microscopio elettronico, vide un punto grigio dalla forma circolare, ricoperto di minuscoli raggi. Senza ancora saperlo aveva identificato il primo coronavirus umano, diventando la scienziata che scoprì quel minuscolo elemento che ci ha cambiato la vita.

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Computer artwork of a Human coronavirus particle. (Getty Images)

Pioniera nella scienza dei virus

Morta nel 2007 all’età di 77 anni, fu la prima a intuire una differenza tra i coronavirus e i virus dell’influenza, anche se far accettare la nuova classificazione alla comunità scientifica non fu facile.


La scienziata autodidatta

Una storia la sua davvero affascinante e un’impresa notevole, se si pensa che Almeida non portò mai a termine la sua formazione scolastica.

Nata il 5 ottobre 1930 a Glasgow e figlia di un conducente di autobus, fu costretta ad abbandonare gli studi a 16 anni, ottenendo però un lavoro come tecnico di laboratorio all’Istituto di istopatologia del Glasgow Royal Infirmary. 

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È così che comincia la sua carriera, che si concretizza poi con il trasferimento all’Ontario Cancer Institute di Toronto. Fu lì, infatti, che mise a punto quella che sarebbe diventata la sua più importante eredità scientifica: l’immunoelettromicroscopia (IEM), tecnica che consentiva una migliore osservazione dei virus, grazie all’utilizzo di anticorpi specifici capaci di legarsi ad essi.

Questo metodo le permise, nonostante la formazione accademica da autodidatta, di firmare alcune importanti pubblicazioni scientifiche sulle strutture virali, che attirarono l’attenzione di Anthony P. Waterson, a capo del dipartimento di microbiologia della Scuola di Medicina del St Thomas’s Hospital di Londra. 

Troppo presto dimenticata

Come spesso accade, questa pioniera venne presto dimenticata, ma cinquantasei anni dopo, il lavoro di Almeida è rilevante più che mai, dato che, oggi, i ricercatori si avvalgono proprio delle sue tecniche per identificare i virus in modo rapido e accurato. 

Una tecnica rivoluzionaria

Una tecnica semplice, ma rivoluzionaria nel campo della virologia: il microscopio elettronico, infatti, pur trattandosi di particelle minuscole, riusciva a mostrare agli scienziati un’immagine molto dettagliata.

Per scoprire poi che cosa fosse quella piccola macchia, Almeida capì che per individuare il virus poteva utilizzare gli anticorpi prelevati da persone precedentemente infettate,

La tecnica di imaging messa a punto da Almeida si rivelò essenziale in molti campi. Consentì di osservare per la prima volta il virus della rosolia e di compiere importanti passi in avanti nella comprensione delle strutture virali. 

Dopo la scienza, lo yoga

Almeida concluse la sua carriera di virologa nel 1985 al Wellcome Institute di Londra, per poi ritirarsi e diventare insegnante di yoga.

Prima della sua morte nel 2007 all’età di 77 anni, Almeida tornò al St. Thomas Hospital di Londra come consulente e contribuì alla pubblicazione di alcune delle prime immagini ad alta risoluzione dell’HIV, il virus che causa l’AIDS.

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