Finestra di tolleranza emotiva: quanto disagio puoi sopportare senza abbatterti?

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Abbiamo tutti un punto in cui le cose diventano troppo grandi, pesanti e scomode… A quel punto possiamo sentirci messi alle strette. Crediamo di non poterlo sopportare. Oppure tocchiamo il fondo emotivamente. In tutti questi casi, ciò che accade è che siamo usciti dalla nostra finestra di tolleranza.

Cos’è la finestra di tolleranza?

La finestra di tolleranza, nota anche come margine di tolleranza emotiva, è un termine coniato dallo psichiatra Dan Siegel per riferirsi alla nostra capacità di affrontare le avversità, l’incertezza e, in senso generale, tutto ciò che genera disagio, siano esse situazioni esterne come la perdita di una persona cara o stati interni come il conflitto latente.

Le persone con un’ampio margine di tolleranza emotiva possono resistere meglio agli shock e ai disagi della vita, ma quelle con una finestra di tolleranza più ristretta possono crollare al minimo contrattempo o perdere il controllo e rispondere impulsivamente.

Le tre zone di attivazione della finestra di tolleranza

Il nostro livello di attivazione fluttua in base alla fase della vita che stiamo attraversando, così come durante la giornata. Quando dobbiamo affrontare sfide più impegnative, come un importante incontro di lavoro, la realizzazione di un progetto o un grande viaggio, il nostro livello di attivazione aumenta. Tuttavia, in altre occasioni il livello scende, come quando ci rilassiamo o ci stendiamo sulla spiaggia a prendere il sole. Naturalmente, c’è anche una via di mezzo, un livello di base.

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Queste fluttuazioni del sistema nervoso autonomo possono essere suddivise in tre aree distinte:

• Zona di iperattivazione. In questo stato sperimentiamo una maggiore reattività emotiva, diventiamo iper-vigili e possono apparire ricordi o immagini invadenti. Rimaniamo vigili e la nostra capacità di pensare razionalmente diminuisce. Corrisponde, quindi, ad una maggiore attività del sistema nervoso simpatico, che funge da “acceleratore”.

• Zona di attivazione ottimale. In questo campo siamo equilibrati. Le esperienze esterne e interne sono accettabili e ci sentiamo relativamente al sicuro e a nostro agio. Ciò significa che siamo in grado di percepire correttamente le informazioni ed elaborarle, connetterci con le nostre emozioni e pensare con chiarezza. In questo campo impariamo, ci sviluppiamo e ci sentiamo bene.

• Zona di ipoattivazione. In questa zona si produce una sorta di intorpidimento emotivo. Ci disconnettiamo dai nostri stati affettivi e perdiamo la motivazione. Abbiamo difficoltà a pensare in modo chiaro e ad essere proattivi. In questo caso si ha un aumento dell’attività del sistema nervoso parasimpatico, che sarebbe il nostro “freno”.


Grafico basato sul modello di Govind Krishnamoorthy e Kay Ayre

Questi cambiamenti di attivazione dimostrano la capacità del nostro cervello di valutare l’ambiente e rispondere quasi automaticamente, in modo da poterci adattare agli eventi e reagire di conseguenza. Ciò significa che valutiamo inconsciamente il nostro ambiente per classificarlo come sicuro, minaccioso o neutrale.

Se siamo in pericolo, diventiamo iperattivi per sentirci al sicuro, ma se siamo in un posto sicuro possiamo rilassarci, sentire le nostre emozioni e connetterci con gli altri. Il problema inizia, ovviamente, quando ci abituiamo a funzionare nelle zone di iperattivazione o ipoattivazione, allontanandoci dal punto medio.

Poiché questo passaggio da una zona di attivazione all’altra avviene solitamente al di sotto della nostra soglia di coscienza, le emozioni giocano un ruolo di primo piano. La quantità e l’intensità delle emozioni spiacevoli che sperimenteremo determineranno in gran parte il nostro passaggio da un’area all’altra. Quando la nostra finestra di tolleranza emotiva è molto stretta, cadiamo in quegli estremi. Rischiamo di classificare quasi tutto come pericoloso o, al contrario, reagiamo con apatia e anedonia.

Per questo motivo alcune persone diventano estremamente reattive e rispondono alle richieste dell’ambiente con attacchi di panico o rabbia mentre altre si disconnettono dal proprio corpo e dalla propria mente. In entrambi i casi, il loro cervello ha interpretato questi cambiamenti come incontrollabili, pericolosi e deregolatori. Mentre queste risposte possono “salvarci” o proteggerci in momenti specifici, vivere in uno stato di iperattivazione o ipoattivazione non è l’ideale e può portare alla comparsa di diversi disturbi psicologici.

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Come espandere la nostra finestra di tolleranza emotiva?

La finestra di tolleranza emotiva inizia a costruirsi durante l’infanzia. Se ci siamo sentiti sicuri nell’affrontare sfide e problemi, è probabile che da adulti funzioniamo di più nella zona di attivazione ottimale. Tuttavia, la nostra capacità di sopportare le emozioni spiacevoli varia anche a seconda delle esperienze che abbiamo nel corso della vita. Tutto contribuisce ad espandere o restringere il margine di tolleranza emotiva.

La chiave per ampliare la nostra finestra di tolleranza è cambiare il modo in cui ci sentiamo diventando consapevoli delle nostre esperienze interiori, accettandole, rispettandole e, naturalmente, imparando a conviverci. Ciò significa che non dobbiamo fuggire dalle emozioni spiacevoli ma imparare a fluire attraverso di esse, in modo che il nostro cervello smetta di percepirle come una minaccia. La pratica della meditazione mindfulness ci aiuterà a calmare il nostro sistema nervoso, riconoscere le nostre emozioni e gestirle meglio.

D’altra parte, lo psicologo Peter Levine ha sviluppato un approccio terapeutico basato sull’esplorazione delle sensazioni fisiche che ci aiuterà anche ad ampliare la nostra finestra di tolleranza emotiva. Fondamentalmente, dobbiamo prendere un ricordo spiacevole o doloroso ed entrare e uscire da esso focalizzando la nostra attenzione sulle emozioni e sensazioni fisiche che proviamo. In questo modo possiamo sentirci più a nostro agio in questi stati, in modo che non generino una attivazione innecessaria.

In questo caso l’importante è lavorare sui confini. Se ci muoviamo fuori dai confini, l’esperienza può essere ritraumatizzante, ma se rimaniamo sempre in una zona molto confortevole, non saremo in grado di ampliare la nostra soglia di accettazione delle emozioni spiacevoli. Pertanto, l’ideale è iniziare con ricordi o attività che possiamo gestire, in modo da espandere progressivamente la nostra finestra di tolleranza.

Tuttavia, non solo l’esposizione a situazioni avverse ed emozioni spiacevoli amplia la nostra finestra di tolleranza emotiva. Anche costruire un ambiente piacevole in cui sentirci al sicuro e a nostro agio ci aiuterà a rilassarci e a ritrovare il necessario punto intermedio di attivazione. Anche includere rituali e routine significativi ci farà sentire meglio.

Quando apriamo la nostra finestra di tolleranza, possiamo reagire meglio alle avversità, all’ignoto o all’incertezza. Non perdiamo il controllo, non ci disperiamo né pensiamo che sia la fine del mondo ma rimaniamo più calmi ed equilibrati, per affrontare meglio la sfida.

Fonti:

Van der Kolk, B. (2015) El cuerpo lleva la cuenta. Cerebro, mente y cuerpo en la superación del traumaBarcelona: Eleftheria.

Levine, P. A. (2010) In an unspoken voice – How the body releases trauma and restores goodness. Berkeley: North Atlantic Books.

Ogden, P., Minton, K. & Pain, C. (2009) El trauma y el cuerpoUn modelo sensoriomotriz de psicoterapia. Bilbao:Desclée de Brouwer.

Siegel, D. (1999) The Developing Mind. New York & London: The Guilford Press.

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Redazione MusaNews
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